Ogni volta che un cantante, o comunque un artista, prende posizione su qualcosa ecco scattare da più parti la solita frase: “grande cantante, bellissime canzoni, ma si limiti a cantare senza fare comizi e proclami”.
È già successo ad Adriano Celentano, attaccato per alcune sue posizioni ecologiste. Ma anche a Battiato, attaccato per la famosa frase sulle “troie in Parlamento” e costretto a dimettersi da assessore alla cultura per la regione Sicilia dall’allora pavidissimo presidente. Lo stesso Battiato fu molto criticato anche per certe posizioni sulla fisica tradizionale – un metafisico come lui non poteva accontentarsi di certe spiegazioni – e sulla teoria darwiniana dell’evoluzione. La solita frase: “canti le sue bellissime le sue canzoni e non parli d’altro”.
Secondo me sotto sotto è il motivo del livore che si è scatenato contro Antonello Venditti, reo di aver trattato male una disabile in quanto ha scambiato certi suoi versi per una presa in giro e di avere rincarato la dose non avendo capito, quando qualcuno gli ha detto che si trattava di una ragazza speciale, che speciale stava per disabile. Palesemente un equivoco. Eppure, eccoli lì i censori ad attaccarlo, alcuni in modo sincero, altri in modo subdolo e viscido, facendo leva sul fatto che è meglio che canti le sue canzoni ed eviti i comizi sul palco, da questi evidentemente mal tollerati.
Ci sono certi argomenti che pare proprio che un artista è meglio non tocchi.
L’ho sperimentato, nel mio piccolissimo infinitesimale, anche io con un brano, Aria di formalità, che dal vivo nei concerti rock canto da anni ma che ancora non ho inciso in modo ufficiale (lo farò, e so già in che contesto) e che a un certo punto contiene il verso “quest’aria fascista di libertà” – con la parola fascista cantata in modo molto sussurrato, prima dell’esplosione punk finale. A qualcuno ha dato fastidio: “è una bellissima canzone, ma cambia quel termine, e poi ne hai così tante… proprio questa devi fare?”. Vagli a spiegare che la politica non c’entra nulla, e tanto meno i partiti, e che il concetto rimane di tipo sociale e antropologico.
Quello su cui rifletto è il ruolo dell’artista, il quale a tanti piace che sia una semplice marionetta al servizio del pubblico e delle sue voglie. Lo vedo anche dal mugugnare del pubblico nei concerti dove non si propongono hit ma scalette con brani poco conosciuti o arrangiamenti nuovi. “Caro artista, ho pagato il biglietto, quindi devi corrispondere in pieno a quello che io mi aspetto da te”.
C’è chi se ne frega di queste dinamiche. Penso a Lucio Battisti, che a un certo punto si era stancato di certi testi e certe sonorità ed ha virato verso tutt’altro territorio, accettando, in nome della sua libertà artistica, di perdere moltissimi numeri.
C’è chi le soffre e si piega.
E c’è chi non ha neppure la scelta se piegarsi o rischiare: o si piega o viene espulso dal mondo dell’arte. La musica sta decadendo moltissimo proprio per questo motivo: non ci sono artisti, con una testa e con i loro riferimenti culturali e le loro elaborazioni artistiche, ma solo figurine o marionette scelte da pochi manovratori che credono di conoscere cosa vuole il pubblico. E il pubblico, dicono costoro, non vuole pensare nè misurarsi con una proposta che lo metta in qualche modo in crisi, accendendo emozioni, passioni, sentimenti anche forti. Il pubblico vuole solo divertirsi, e il prodotto artistico (per modo di dire) sia da semplice sottofondo.
Ecco perché è sempre meno tollerato un artista che si esprima su problemi sociali, politici, anche quotidiani.
E questo è frutto di una grande limitatezza. “Facce ride” si diceva un tempo negli avanspettacoli. E la frase “pensa solo a cantare!” detta da chi pensa che l’artista sia la figurina che si è immaginato ha la stessa violenza.