Ieri, proprio a pochi metri da dove in questi giorni mi trovo, un uomo si è tolto la vita gettandosi in un dirupo. Aveva 46 anni e una depressione addosso. E a nulla, per contrastarla, è servito avere davanti in quei momenti il colore del mare e quello del cielo, quello stesso mare e quello stesso cielo che a me, invece, come fosse una carezza divina, riconnette subito con le zone più quiete e serene dell’animo.
Leggo la notizia sui social e mi impressiona leggere in tanti commenti riferimenti alla stanchezza mentale che pare stia attanagliando tanti. E purtroppo trovo conferma, in questi commenti, del momento di forte spaesamento in cui siamo stati precipitati a vivere. E il fatto che serpeggi sottotraccia non significa che sia né minimale né passeggero.
Si tratta di uno spaesamento che ha radici profonde e conseguenze potenzialmente devastanti. Si va veramente troppo veloci, troppi gli stimoli e i messaggi, di qualsiasi natura e provenienza. E sempre più ridotti sono i momenti di vuoto e di silenzio in cui poterci ritrovare. A volte ho come l’impressione che il tempo che stiamo vivendo, deriva estrema di un capitalismo consumista senza freni che sta mettendo in discussione la stessa natura umana, ci stia riducendo a somigliare sempre più ad automi senza direzione.
È una sensazione che nutro da così tanto tempo che, se ci penso bene, lega persino i tre progetti cui sto contemporaneamente lavorando – lo spettacolo teatrale, il nuovo disco e il nuovo libro. Si tratta di lavori molto diversi tra loro, anche per la diversa forma espressiva che utilizzano, eppure così intimamente uniti da essere la mia personale risposta in tre parti a tutto questo disagio sociale e collettivo che registro sempre più crescente.
Nel 1991 ho vissuto un periodo un po’ così,non era vera e propria depressione ma “semplicemente” una crisi esistenziale tipica della post-adolescenza. Però ricordo che non stavo bene. Ricordo anche che quel malessere mi finì all’improvviso, all’istante mentre, era aprile, ero nel posto ritratto in foto (per i curiosi, si tratta della scalinata verso la chiesetta di Piedigrotta a Pizzo), voltandomi verso il mare subito dopo aver racconto una margherita i cui petali dovevo interrogare non so bene su cosa (forse proprio se sarei uscito da quel momento un po’ così).
Il mio prossimo disco si intitolerà proprio “All’improvviso” e sono spesso ripetuti i versi “all’improvviso tornerà la luce”, soprattutto nel brano finale dove a un certo punto si sente la voce di Vittorio Gassman raccontare come uscì, all’improvviso anche lui, dalla depressione. Mi fa molta impressione che, proprio in questi giorni che sto risentendo il mix per le correzioni definitive, e che penso a come abbia inteso questo disco come un momento di piccola salvezza per chi vorrà ascoltarlo, a qualche metro da me un uomo si sia lanciato cedendo alla forza disumana della depressione.
Della depressione non si parla molto, ci si vergogna a parlarne, fa paura, allontana. Basti pensare che molti mi hanno sconsigliato di dare al disco il sottotitolo “canzoni contro la depressione” perché, contrariamente alla realtà, si sarebbe pensato fossero canzoni tristi e quindi avrebbe allontanato (il sottotitolo sarà “canzoni lievi”).
Non c’è, in realtà, musica e non ci sono colori che possano curare chi ne soffre, a dispetto della mia convinzione del potere salvifico di certa musica e dei colori. In questo caso, sono necessarie le cure chimiche, per quante controindicazioni possano avere.
La depressione non è tristezza, è qualcosa di diverso, è come un prosciugatore di energie fisiche e mentali. E la cosa più sbagliata, anche se la più naturale e spontanea, che si possa dire a un depresso è “reagisci”. Direste mai a uno che soffre di pressione alta “abbassa le pulsazioni?”. Ci vuole l’aiuto farmacologico.
Casomai, per tornare al senso delle mie riflessioni, ci sarebbe da riflettere molto sulle vite che conduciamo e chiederci, come fa Roger Waters, “is this the life we really want?”, capire perché la risposta sia spesso “no!” e se si possa fare qualcosa per tornare a quote più normali.
È questa la vita che veramente vogliamo, piena di corse, di comportamenti senza un senso, di adesione a modelli posticci, di forzature, piena di rimandi di cose importanti perché non c’è mai tempo e modo per farle ora?