Dai riscontri che mi arrivano, sotto forma di messaggi, mails o semplici chiacchierate con chi ha partecipato allo spettacolo, mi sto accorgendo sempre più che questo Infinito fra le mani ha un’onda lunga. Più di una persona infatti mi ha detto che i giorni dopo avere assistito allo spettacolo si è ritrovato a ripensarci. E l’attenzione è tornata su una parte del testo, su un brano, su un’atmosfera, sulle domande che, in modo per nulla retorico, vengono poste a chi è stato disposto a entrare nel mood del progetto e mettersi in discussione. 

Ciò che ha suscitato più interesse, mi pare di capire, sono state soprattutto le riflessioni sulla nostra capacità, spesso dimenticata e inutilizzata, di fare spazio alla Verità che è dentro di noi e che costituisce proprio quel nocciolo di Infinito che abbiamo dentro. E che non è nostro, non coincide con il nostro nome, non appartiene al nostro corpo ma ci è solo dato, come dire, in prestito perché ci possa orientare tra le nebbie della vita: l’entrare in contatto con esso costituisce un momento decisivo dell’elevazione cui tutti saremmo chiamati e che molti mettono da parte per andare dietro a cose inutili e sterili eppure percepite come urgenti (“immersi nel sonno profondo dell’urgente quotidiano”).

Si tratta effettivamente di uno spettacolo con tanti contenuti, sia testuali che musicali, e proprio per questo ho cercato di portarli nel modo più semplice possibile, “alla portata di tutti”, come io stesso definisco la Verità. Chi ha colto questo aspetto, e devo dire che sono stati tanti, molti più di quanto io mi aspettassi  – al di là di tutto quello che si può dire sul resto, che è pur sempre un contorno – è entrato in pieno nello spirito dello spettacolo, che non è (solo) un concerto, non è una carrellata di cover, non è un omaggio, non è (solo) un testo teatrale da recitare. 

La novità consiste anche nella mescolanza di linguaggi, sia musicali (dall’elettro-rock all’acustico alla classica) che artistici: e nell’azzardo di non incentrare tutto su Battiato, cosa che sarebbe stata più semplice e molto meno rischiosa, ma su temi decisivi, tra cui quello della Verità. Tutti quelli che ci approcciamo a questo tema, ovviamente esclusi quello che lo fanno motivati da ragioni di guadagno e di visibilità, siamo ricercatori di Verità. Io ho preferito farlo facendomi tenere per mano da chi questo approccio me l’ha suggerito da quando avevo 11 anni e mi parlava di meccaniche celesti e geometrie esistenziali. Ma l’ho fatto comunque a modo mio, senza rinunciare a quello che è il mio linguaggio e il mio approccio artistico, vicino ma non identico.

E a pensarci bene, se parli di Verità e lo fai in modo semplice, senza tuttavia rinunciare a nulla della profondità che il tema esige, non lo puoi fare secondo la logico dell’istantaneità perenne ora imperante: certi discorsi non possono esaurirsi in un mordi e fuggi o in un like distratto. E’ giusto che tornino anche dopo giorni ed esplichino i loro effetti. La Verità non è fatta per l’istante ma per tempi lunghissimi, addirittura eterni.